Probabilmente quando questo tema viene trattato solo da fonti istituzionali, c’è chi pensa che sia tutto frutto di un “disegno” superiore. Di un “nuovo ordine” che vuole farci fare le cose senza possibilità di replica o libertà decisionale. Poi però quando a spiegare la questione è chi effettivamente è coinvolto in prima persona, allora forse la musica riesce a cambiare. O quantomeno è quello che ci si augura.
Chi prova a farlo è Lucia Bernazzi. Vive a Firenze, anche se è originaria di Siena, insieme al marito e alla figlia 27enne. È affetta da immunodeficienza comune variabile, una patologia rara che comporta un abbassamento dei livelli di qualsiasi anticorpo. Come i tanti pazienti che ogni giorno convivono con la sua stessa malattia, si cura grazie alle infusioni settimanali di immunoglobuline da plasma donato: una vera e propria terapia salvavita che, come dice lei stessa, «se non fosse per i donatori non esisterebbe». Oggi conduce una vita normalissima, sia a livello professionale che personale. Ma la strada per arrivare fino a qui è stata lunga. Pur non essendo mai stata una bambina fragile, Lucia si è trovata più volte di fronte a forme che «con il senno di poi avrebbero potuto far pensare che la malattia era già presente». Poi il primo episodio concreto che avviene a 24 anni: «Mi si ingrossarono i linfonodi – racconta – e all’ospedale Careggi di Firenze mi venne riscontrata una carenza di anticorpi. Tuttavia, non mi diedero terapie specifiche, ma solo raccomandazioni di effettuare altri accertamenti». Malattie subdole, così le definisce Lucia.
Dieci anni dopo, la diagnosi: «È avvenuto tutto in maniera, per così dire, esplosiva. Forse ero rimasta indebolita dopo la gravidanza, ma sta di fatto che ho avuto una serie di infezioni polmonari di durata molto prolungata. Finalmente la patologia venne individuata e da allora sono in cura con le infusioni di immunoglobuline». Inizialmente la somministrazione avveniva ogni 20 giorni per endovena, poi dal 2008 la donna passa alle sottocutanee che riesce a effettuare da sola comodamente a casa ogni settimana. Una terapia salvavita che assicura a Lucia una buona qualità della vita, ma che la lascia sempre in allerta: «Da un lato è una procedura positiva perché è estremamente efficace – spiega – Si tratta infatti di infondere le immunoglobuline delle persone sane, cioè i donatori, nei malati. Di contro, però, siamo legati a doppio filo all’andamento delle donazioni: se si verificano cali o carenze di emocomponenti, ciascuno di noi rischia di ritrovarsi senza terapia. E non essendoci alternative, non possiamo permettercelo».
In soldoni, se le donazioni si fermano Lucia e altre persone come lei non possono curarsi. È successo? «Personalmente, nei mesi più critici della pandemia, quando in molti non stavano andando a donare, ho vissuto momenti di paura e come me tanti altri. Abbiamo subìto cambiamenti del piano terapeutico perché un determinato plasmaderivato non veniva distribuito – ricorda – e diversi pazienti hanno avuto problemi di adattamento alla nuova terapia. Spesso le somministrazioni avvenivano con frequenza ridotta, con un conseguente abbassamento della copertura da potenziali infezioni. In diverse regioni i pazienti hanno dovuto saltare le infusioni programmate o segnalato disagi nel doversi recare in ospedale per le somministrazioni. Insomma, ce la siamo vista brutta».
Eppure c’è un gran vociare disordinato e pericoloso sull’impegno e la solidarietà di chi, con il proprio gesto periodico e gratuito, consente ai pazienti di curarsi e alla ricerca di andare avanti: «Non smetterò mai di ringraziare i donatori per ciò che fanno. Stimolare le persone a continuare a donare è vitale per noi: non esistono altre cure, senza i plasmaderivati saremmo condannati a morte. Mi dispiace che su internet trovino tanto spazio notizie così assurde – dice – che non fanno altro che destabilizzare la società. Come diciamo noi toscani, sparare una “bischerata” è facile: il difficile è studiare e far capire perché le cure siano vitali».
Anche perché donare è sicuro, è stato ribadito più volte, e non c’è nessuna controindicazione in merito: «Io capisco le paure di tutti, siamo esseri umani. Ma credere alle balle in circolazione proprio non lo sopporto – conclude – anche perché bastano pochi minuti per capire che sono fantasie pericolose e destabilizzanti: sangue e plasma servono non solo a pazienti come me, ma anche a chi è affetto da patologie croniche del sangue o agli ospedali per effettuare gli interventi chirurgici. Dare credito alle sciocchezze significa impedire tutte queste attività vitali: direi che è semplice da capire».