Marcello, 57 anni. Un uomo, un atleta, che racconta la sua storia: un rene nuovo per una nuova vita. Il dono che salva una vita è il filo rosso che lega AVIS, AIDO e Marcello. Una storia lunga una vita che l’ha portato dall’essere un bambino che sta male a diventare un adulto che sopravvive grazie alla dialisi, per poi rinascere con il trapianto. E diventare campione mondiale di sollevamento pesi nella propria categoria, oltre a partecipare a grandi imprese ciclistiche e podistiche in giro per l’Italia e per il mondo.
Ciao,
sono un bambino, ho otto anni e mi chiamo Marcello. Continuo a stare male: non mangio e bevo pochissimo, ho sempre dolore alla pancia. Dopo tanti esami del sangue, decidono di ricoverarmi all’ospedale Valduce di Como, nel reparto di medicina A, perché in pediatra non c’è un posto libero per me. Non mi trattano come un bambino, bensì come un adulto, tant’è vero che subisco una biopsia intestinale a mente sana (niente anestesia, anche se i bambini solitamente sono addormentati). Così devo ingoiare una sfera d’acciaio attaccata ad un lungo tubo… E io devo spingere questo tubo in bocca poco alla volta, fino ad arrivare alla fine. A quel punto, il medico attacca una grossa siringa vuota al tubo rimasto fuori e, tirando lo stantuffo, apre una lametta nella sfera con cui taglia una piccolissima parte di intestino, tira fuori tutto ciò che ho ingoiato e si porta tutto in laboratorio, per esaminarlo. In laboratorio vedono che il frammento asportato è troppo piccolo per esaminarlo, devo ripetere l’esame: vorrei nascondermi, ma non so dove. Ripeto l’esame per la seconda volta, ma la sfera raggiunge lo stomaco al posto dell’intestino: tragedia, non sanno neanche come fare a riparare l’errore. Così, mi rimandano a casa: dieta senza sale (e forse anche senza senso).
Passano gli anni, ma sono sempre magro e chiedo ai medici di poter fare della palestra per aumentare di peso. Mi danno il permesso di farla, con la promessa di non assumere proteine o integratori di nessun genere. Do la mia parola e mi alleno duramente. L’istruttore mi vede piccolo magro, ma forte, e mi propone di fare gare di sollevamento pesi con lui. Io accetto e così fanno i medici: ecco che inizia la mia rivincita su tutto quello che ho passato. Inizio a vincere una gara dopo l’altra nella categoria pesi mosca, di cui sono parte uomini che pesano meno di 52 kg (io ne pesavo 50). Vinco per quattro anni consecutivi il campionato italiano di sollevamento pesi, ma tutti gli anni, agli esami del sangue, emerge che il mio livello di creatinina è mille volte più alto di quello di una persona sana, e quando la creatinina raggiunge quei livelli si deve ad una uremia terminale, per cui non funzionano né reni né vescica e tutti i liquidi rimangono all’interno del corpo. Le soluzioni sono solo due: il trapianto di rene, per cui la lista è lunga e bisogna saper aspettare, o la dialisi, per cui è necessario un piccolo intervento al braccio, che collega un’arteria con una vena. Devo cominciare la dialisi e il giorno dell’intervento ho una gara di resistenza a cui devo rinunciare. Ho un’allergia e l’intervento deve essere interrotto dopo aver avviato l’anestesia locale, perché collasso, così, tempo di riprendermi, esco dall’ospedale e vado alla gara. Qui, nonostante l’anestesia al braccio e il collasso, riesco ad alzare 50 kg per 32 colpi. Dopo qualche mese, anestesia totale e riescono a costruirmi la fistola al braccio sinistro: da quel giorno inizio a sentire la voce del mio corpo, sento la pressione del sangue, il cuore. All’inizio faccio fatica ad abituarmi a tutto questo, ma con il tempo non ci faccio più caso e arriva il giorno della mia prima dialisi, che dura un’ora. Ogni giorno il tempo necessario aumenta fino a quattro ore, un giorno sì e uno no. Ma cambia anche la mia dieta: posso mangiare la carne e devo evitare tutto ciò che contiene fosforo e potassio, ovvero quasi tutti gli alimenti. E tutte le volte devo pensare a cosa mangiare per non collassare. E per bere? Non devo assumere più di due chili di acqua al giorno. Chili, e non litri, perché va sommata tutta l’acqua contenuta nei cibi, dalle mele alla pasta. E d’estate, con il caldo, molti iniziano a bere tanta acqua e in dialisi, con un peso oltre il dovuto, il rene artificiale non riesce a sopportare il carico di lavoro e si arriva a fare la dialisi tutti i giorni per sei ore. Io ho imparato a mettere un cubetto di ghiaccio sotto la lingua, per non bere troppo.
Resisto due anni in dialisi, e c’è gente che è costretta a farla per sempre. Un giorno mi telefona la mia dottoressa e mi dice che per me c’è un rene compatibile all’ospedale Niguarda di Milano. Corro a fare l’ultima dialisi per avere il sangue più pulito, arrivo al Niguarda. Mi fermano, c’è un fegato da impiantare, e gli organi salvavita, quali fegato, polmoni e cuore, hanno la precedenza sul rene. Arriva il giorno seguente ed è il momento del mio trapianto: dopo tre ore e mezzo di operazione, mi sveglio in una camera asettica chiusa, con i parenti al di là del vetro. Resto chiuso qui per 20 giorni. Sono fortunato: non sviluppo rigetto, né acuto né cronico, e torno a casa con la maschera, per abituarmi lentamente all’aria esterna, imbottito di farmaci antirigetto, che abbassano le difese immunitarie, e di cortisone, che ha come effetto collaterale quello di trattenere zuccheri e liquidi. Perdo 2 kg, piuttosto che acquistarne, e, essendo già sottopeso, chiedo al medico di fare palestra, nonostante normalmente sia vietata ai trapiantati, per il rischio di aumento della pressione e quindi di rigetto e perché, se un peso mi cadesse addosso, potrei rischiare che il rene trapiantato si stacchi. Gli assicuro che userò sempre il cinturone di cuoio in vita e gli garantisco che non prenderò nulla, mi dà il permesso e da quel momento divento l’unico trapiantato nel mondo a fare sollevamento pesi. Dopo tre anni di pausa arrivo ultimo, ma poi recupero e ricomincio a vincere tutto: campionato italiano, europeo e del mondo, alzando 150 kg come stacco da terra.
Così comincio a partecipare a trasmissioni televisive, vado a “Buona domenica” da Maurizio Costanzo e ad Espansione TV. Poi, entro a far parte dell’A.I.D.O. comunale di Como e vado nelle scuole e nei comuni a raccontare la mia storia.
Su invito di Enrico dell’Acqua, trapiantato di fegato, e con altri trapiantati, faccio la Novara-Torino in bicicletta, andata e ritorno, poi partecipo alla maratona delle Dolomiti, alla Bergamo-Roma, alla Innsbruck-Verona. Prendo parte Campionato Mondiale di Atletica per trapiantati in Australia, a Gold Coast, nel Queensland, dove gareggio nei 50 metri a rana, 50 metri a stile libero, 50 metri a dorso, faccio i 5 km di marcia su pista e i 5 km di corsa su strada: arrivo sesto ai mondiali.
Mi invitano a partecipare a una Gran Fondo in bicicletta, dal Grumello a Gerusalemme: 4.500 km in 27 giorni, attraversando nove stati, tre deserti, pedalando otto ore al giorno e passando dagli 11°C di Sarajevo sotto il temporale ai 56°C di Amman. Poi, è il momento della 1001 miglia, 1.620 km da fare senza fermarsi. Mi alleno facendo Verona-Passo Resia, andata e ritorno, 600 km, in 37 ore e 42 minuti, e, in solitaria, la Brunate-Imperia, andata e ritorno in due giorni. Finalmente è il momento della randonnée più lunga d’Europa, la 1001 miglia: faccio 1.620 km in 156 ore e 12 minuti, circa cinque giorni, in cui ho dormito per terra, un po’ dove capitava. Avrei voluto fare la Coast to Coast negli Stati Uniti, la più lunga del mondo, ma mi hanno chiesto 35 mila dollari e ho lasciato perdere. Da allora, però, faccio ogni tanto il giro delle regioni italiane, partecipando al Giro d’Italia under 23 come testimonial.
Così il bambino malato di una volta si è trasformato in un vero atleta, perché la speranza è l’ultima a morire.
Marcello Merlo